Francesco Montorsi

Intervento

Prostatectomia Radicale Robotica (RALP)

DALLE BIOPSIE ALL’INTERVENTO CHIRURGICO

L’intervento di asportazione radicale della prostata viene generalmente eseguito da 4 a 8 settimane dopo l’esecuzione delle biopsie prostatiche  e, generalmente, non meno di 12 settimane dopo essere stati sottoposti ad eventuale intervento di resezione/enucleazione endoscopica di adenoma prostatico.

 

Vengono mantenuti questi intervalli di tempo in modo tale che possano risolversi eventuali aderenze infiammatorie e/o ematomi in sede prostatica, permettendo così all’anatomia della ghiandola di ritornare  normale.

 

Questo è particolarmente importante per i pazienti candidati alla preservazione dei fasci neuro-vascolari implicati nel controllo dell’erezione peniena e della continenza urinaria.

 

ANESTESIA

Il giorno precedente l’intervento deve condurre una vita normale e può alimentarsi come solito fare sino alla sera prima dell’intervento (ovviamente non eccedendo). In particolare, può bere sino alle ore 3 della notte precedente l’intervento acqua, thè o camomilla. Nel caso in cui assuma terapie croniche, l’anestesista Le avrà già comunicato durante la visita preoperatoria come comportarsi.

L’intervento di prostatectomia radicale robotica viene eseguito in anestesia generale, dopo somministrazione in reparto, prima di essere portato nella sala operatoria, dei farmaci della preanestesia, che permettono al paziente di giungere in sala operatoria più sereno e tranquillo.

Contemporaneamente all’inizio delle manovre anestesiologiche viene iniziata la somministrazione endovenosa di farmaci per la terapia del dolore (analgesia preventiva) che viene opportunamente prolungata nel post operatorio per 24 ore. Il controllo del dolore in tal modo è ottimale e il paziente supera velocemente il trauma dell’intervento, peraltro minimizzato dall’assenza di incisioni muscolari. Può essere presente nel post operatorio una lieve dolenzia muscolare e articolare dovuta alla posizione assunta nel lettino operatorio, facilmente antagonizzabile, oltre che con i farmaci anti dolorifici, con la precoce mobilizzazione.

Di rado, nelle prime ventiquattro ore successive all’intervento, può insorgere un dolore localizzato alle scapole, del tutto transitorio e privo di conseguenze, dovuto in genere alla risalita nei cavi pleurici di anidride carbonica utilizzata per realizzare lo pneumoperitoneo intraoperatorio. Tale fenomeno si esaurisce spontaneamente.

Viene anche attuata, intraoperatoriamente, la profilassi di nausea e vomito, peraltro raramente presenti in questo tipo di intervento, in modo da prevenire tutti i fattori di fastidio e disagio che possono presentarsi dopo l’anestesia e l’operazione.

La minima invasività di questa particolare tecnica chirurgica fa si’ che il paziente sia di solito in grado di iniziare a bere, alimentarsi e mobilizzarsi già a partire dalla serata successiva all’intervento.

La prevenzione dei fenomeni trombotici e trombo-embolici viene attuata dal posizionamento, prima dell’inizio dell’intervento, di calze elastiche agli arti inferiori, dalla somministrazione di un farmaco anticoagulante sottocute a partire dalla sera successiva all’intervento  e dalla precoce mobilizzazione del paziente stesso. Una volta tornato nel Suo letto di reparto, potrà muoversi, girarsi su un fianco o sull’altro, mettersi semiseduto; non dovrà cioè stare immobile.

Tutte le procedure descritte sono volte a garantire al paziente la rapida ripresa del benessere fisico e psichico e a minimizzare le conseguenze dello stress operatorio.

 

E’ parte integrante del nostro programma di preparazione all’intervento di prostatectomia radicale robotica il consulto con l’anestesista Dr.ssa Antonella Crescenti c/o studio DUAM (tel. 02-73616689) che deve avvenire appena possibile.

 

CENNI DI TECNICA CHIRURGICA

Il primo tempo dell’intervento consiste nella creazione del pneumoperitoneo: la cavità addominale deve essere riempita di anidride carbonica per creare una camera di lavoro per gli strumenti chirurgici robotici.

Una incisione di circa 2 cm a livello sopra-ombelicale consente di posizionare sotto visione diretta e in maniera del tutto atraumatica il primo trocar robotico attraverso il quale si inserisce l’ottica che permetterà al chirurgo di eseguire l’intervento.

Si inseriscono successivamente in cavità peritoneale altri 5 trocar operativi, di cui tipicamente 3 gestiti dal primo operatore e 2 dall’assistente.

Sebbene si tratti di una evenienza estremamente rara, è possibile che a causa di aderenze intestinali numerose e tenaci non si riesca a posizionare i trocar robotici e sia quindi necessario convertire l’intervento a cielo aperto.

La premessa da considerare prima di descrivere l’intervento nei dettagli è che la tecnica robotica consente di operare con un ingrandimento visivo fino a circa 20 volte e con una visione a 3 dimensioni. Questo permette al chirurgo di apprezzare la profondità di campo, cosa non possibile ad esempio con la tecnica laparoscopica classica. La visione intraoperatoria robotica permette di riconoscere anche i più piccoli dettagli anatomici e di eseguire l’intervento con una accuratezza significativamente superiore a quanto sia possibile ottenere con la chirurgia classica a cielo aperto o con la chirurgia laparoscopica classica.

Il primo tempo operatorio è rappresentato dall’isolamento delle vescicole seminali attraverso una piccola breccia eseguita nel peritoneo parietale che riveste il cavo del Douglas, al di sopra dell’intestino retto. Questo approccio permette una perfetta visualizzazione delle vescicole seminali e, in particolare, sia dei vasi sanguigni che dei nervi che le avvolgono. Queste ultime strutture vengono conservate e si ha cura di non usare mai energia termica per non danneggiare il ricco plesso nervoso peri-vescicolare dove transitano rami nervosi diretti ai corpi cavernosi del pene e responsabili dell’erezione peniena.

Completato l’isolamento delle vescicole seminali, dalla cavità peritoneale si accede allo spazio pelvico dove è localizzata la prostata.

Nel caso in cui fosse oncologicamente necessario – cioè quando i parametri pre-operatori lo consigliassero – si procede alla rimozione dei linfonodi pelvici (linfoadenectomia), a cui afferisce la linfa prodotta dalla prostata, bilateralmente. I linfonodi sono piccoli organelli che hanno la funzione di filtrare liquidi e proteine provenienti da tutto l’organismo. Quando un organo si ammala di tumore è possibile che alcune cellule tumorali escano dai confini dello stesso e vengano catturate dai linfonodi più vicini. Per questo motivo in alcuni pazienti con tumore della prostata la rimozione dei linfonodi viene eseguita al fine di ottenere una più precisa stadiazione della malattia e anche perché la rimozione di eventuali linfonodi ammalati può avere un effetto curativo. La tecnica robotica permette di eseguire, quando necessario, linfoadenectomie estremamente estese ed accurate e quindi si presta a essere utilizzata con successo anche in pazienti con tumore della prostata avanzato.

La rimozione della prostata avviene per via anterograda, partendo cioè dal collo vescicale che viene separato dalla base della prostata avendo cura di conservare il più possibile l’integrità delle fibre muscolari del collo vescicale stesso le quali compartecipano al meccanismo della continenza urinaria.

Completata questa manovra, si raggiungono le vescicole seminali precedentemente isolate e si identifica il piano di scollamento prostatico partendo alle ore 6.

A seconda delle caratteristiche della malattia (malattia palpabile o meno alla esplorazione rettale, percentuale delle biopsie positive per tumore, aggressività del tumore rilevato nelle biopsie – Gleason score, PSA preoperatorio, risultati della risonanza magnetica) si identifica un piano intrafasciale (estremamente aderente alla capsula prostatica) o interfasciale (lievemente più distante dalla capsula prostatica ma sempre ponendo la massima attenzione per salvaguardare i nervi che avvolgono la prostata) e si procede nell’isolamento anterogrado della prostata.

 

L’isolamento della prostata viene eseguito ponendo massima attenzione nell’evitare l’uso di qualsiasi energia termica al fine di evitare danni al tessuto nervoso periprostatico. L’emostasi viene ottenuta con l’applicazione di microclip (2 mm) in titanio o con piccolissimi punti di sutura.

 

In alcuni pazienti nei quali il tumore prostatico dimostri pre- o intraoperatoriamente di coinvolgere anche la ricca ragnatela di nervi che avvolge la ghiandola prostatica, di necessità questa deve essere sacrificata in parte o totalmente per permettere la rimozione radicale del tumore e ridurre il rischio di margini positivi all’esame istologico. In questi casi la ripresa dell’erezione peniena può essere molto rallentata o può crearsi un danno permanente all’erezione.

 

La sezione del plesso venoso di Santorini e la sua successiva sutura emostatica con punti posti sotto visione diretta viene effettuata ponendo la massima attenzione alla preservazione della integrità dello sfintere uretrale esterno, muscolo principale responsabile della continenza urinaria.

 

Si seziona quindi l’uretra a livello dell’apice prostatico e a questo punto il pezzo operatorio prostatico, completamente liberato, viene estratto dall’addome attraverso una porta operativa. Quando necessario, viene eseguito un esame istologico intraoperatorio al congelatore per valutare la integrità dei margini chirurgici prostatici.

 

L’intervento procede con la accurata cura dell’emostasi: ogni eventuale piccola fonte di sanguinamento viene controllata sempre e per quanto possibile con mini clip e mini punti di sutura.

 

L’anastomosi uretro-vescicale viene eseguita con una sutura in continua che garantisce una tenuta eccellente e rapida ripresa della continenza urinaria. Si posiziona un catetere vescicale e viene eseguita prova di tenuta dell’anastomosi stessa.

 

Si posiziona nello scavo pelvico un piccolo tubo di drenaggio che permette il monitoraggio di eventuali perdite di sangue, di urine o di linfa.

 

La tecnica prevede la possibilità di preservare da un solo lato oppure bilateralmente i fasci neuro-vascolari che sono coinvolti nel meccanismo dell’erezione. La possibilità di preservarli dipende dalla situazione anatomica locale del paziente, dalla situazione oncologica, cioè dalla eventuale estensione della malattia della prostata, e da fattori anatomo-chirurgici, cioè dalla possibilità tecnica di realizzare un tale tipo di intervento.

 

Già a sei ore dalla fine dell’intervento il paziente può solitamente riprendere a bere e ad alimentarsi in modo progressivo. Il paziente viene fatto alzare da letto già in serata o in prima giornata postoperatoria  e, compatibilmente con la naturale ripresa delle sue energie, viene mobilizzato in misura sempre maggiore. È bene che il paziente, non appena si senta in grado, faccia passeggiate nel corridoio, favorendo la ripresa della normale circolazione, per evitare la formazione di trombi alle vene degli arti inferiori e per facilitare la ripresa della attività intestinale. Si consideri infatti che la ripresa della deambulazione rappresenta il migliore lassativo naturale!

 

COME REGOLA GENERALE E COMPATIBILMENTE ALLE PROPRIE CONDIZIONI GENERALI, IL PAZIENTE DEVE RIMANERE ALLETTATO IL MENO POSSIBILE!!!

 

Il catetere vescicale, che viene posizionato durante l’intervento, viene mantenuto in sede per un periodo di solito variabile da 5 a 10 giorni, a seconda delle condizioni locali intra-operatorie e del decorso post-operatorio. In rare occasioni può essere necessario mantenere il catetere vescicale in sede più a lungo, ma generalmente non oltre 3 settimane.

 

IL RICOVERO IN REPARTO DEVE ESSERE LIMITATO AL MINIMO NECESSARIO AL FINE DI RIDURRE AL MASSIMO IL RISCHIO PER IL PAZIENTE DI CONTRARRE UNA INFEZIONE OSPEDALIERA!!

 

QUESTO SIGNIFICA CHE, A PARTIRE DI SOLITO DALLA SECONDA GIORNATA POSTOPERATORIA, NON APPENA LE CONDIZIONI GENERALI DEL PAZIENTE LO PERMETTANO, IL PAZIENTE VIENE DIMESSO DALL’OSPEDALE ANCHE SE IL CATETERE VESCICALE O IL DRENAGGIO SONO ANCORA IN SEDE!

 

Il paziente che viene dimesso dall’ospedale con drenaggio o catetere vescicale a dimora riceve un appuntamento per ritornare dopo alcuni giorni nei nostri ambulatori per rimuoverli.

 

QUANDO IL CATETERE VESCICALE VIENE RIMOSSO, È TASSATIVO CHE IL PAZIENTE RIMANGA A MILANO PER ALMENO 24 ORE. Questo perché proprio in questo periodo di tempo si può manifestare o una incapacità di riprendere la minzione spontaneamente o una sindrome dolorosa addominale dovuta a filtrazione di urina nella cavità peritoneale. Nella nostra casistica questi eventi, che si risolvono con il riposizionamento del catetere vescicale, avvengono in circa il 5% dei casi.

 

LE STRUTTURE ALBERGHIERE LOCALIZZATE NEI DINTORNI DELL’OSPEDALE ALLE QUALI IL PAZIENTE E I SUOI FAMILIARI POSSONO APPOGGIARSI DOPO LA DIMISSIONE DALL’OSPEDALE VENGONO ILLUSTRATE AL PAZIENTE DALL’UFFICIO RICOVERI.

 

  1. Hotel Rafael Via Olgettina, 60 – 20132 Milano Tel. +39 02 21765.1 – Fax. +39 02 21765888 – all’interno del campus del San Raffaele – rafaelhotel.it
  2. NH Hotel di Milano 2 Via Fratelli Cervi – Milano 2, Segrate (MI) Tel. 022175 – mail: nhmilano2@nh-hotels.com

 

ESAME ISTOLOGICO FINALE

L’esame istologico definitivo della prostata e dei linfonodi eventualmente rimossi nel corso dell’intervento diviene usualmente disponibile in circa 30 giorni. L’esame istologico definitivo chiarisce l’estensione e la aggressività del tumore prostatico. In particolare i parametri che vengono considerati sono:  1. Sede del tumore e sua relazione con i margini di resezione chirurgica; 2. Aggressività del tumore; 3. Volume del tumore; 4. Diffusione del tumore: contenuto all’interno della prostata oppure con diffusione all’esterno della prostata; 5. Infiltrazione da parte del tumore delle vescicole seminali oppure dei linfonodi rimossi (ricordo che non tutti i pazienti operati necessitano della rimozione dei linfonodi).

L’esame istologico definitivo rappresenta quindi un elemento essenziale per decidere se il paziente deve eseguire cure addizionali o meno. È peraltro vero che, sempre più di frequente, anche di fronte a parametri prognostici potenzialmente sfavorevoli come ad esempio: alta aggressività della malattia, margini chirurgici positivi, estensione extra capsulare della malattia, infiltrazione delle vescicole seminali, metastasi linfonodali, si tende a verificare il primo dosaggio del PSA eseguito tipicamente 3 mesi dopo l’intervento poiché, se questo fosse completamente azzerato, il paziente potrebbe essere solamente osservato con attenzione nel tempo.

 

COMPLICANZE DELL’INTERVENTO

Come qualsiasi intervento chirurgico, anche l’asportazione della prostata con tecnica robotica è associata, anche se in percentuale limitata, a complicanze. Presso il nostro centro, a oggi e con più di 3500 casi eseguiti, non abbiamo mai avuto decessi durante l’intervento e nel primo mese postoperatorio. La mortalità nei primi 90 giorni dopo l’intervento è inferiore allo 0.03%. Questo dato è più basso di quanto riportato nella letteratura internazionale e in linea con quanto osservato nel nostro centro con tecnica a cielo aperto (0.06%).

La percentuale di complicanze negli ultimi 200 casi rilevate a 30 giorni dall’intervento dopo un attento lavoro di raccolta dati applicando le linee guida della European Association of Urology (EAU) è risultata del 20% circa. Bisogna tuttavia sottolineare come la quasi totalità delle complicanze siano di grado lieve e vengano risolte in modo conservativo con l’utilizzo di terapie farmacologiche e senza la necessità di un nuovo intervento chirurgico. Infatti, solo in meno del 2% dei casi è stato necessario rioperare il paziente per risolvere complicanze come sanguinamento, lesione ureterale, lesione intestinale, ernia inguinale o di parete, formazione di raccolta linfatica infetta.

Le complicanze più frequenti che si osservano nell’immediato postoperatorio e che vengono risolte in modo conservativo, senza dovere ricorrere di nuovo alla chirurgia, comprendono: 1. Sanguinamento con necessità di trasfusioni (meno dell’1% dei casi negli ultimi 200 pazienti operati); 2. Formazione di raccolte linfatiche che necessitano di aspirazione ecoguidata (3% dei casi negli ultimi 200 pazienti operati); 3. Rallentata cicatrizzazione dell’anastomosi uretro-vescicale con necessità di mantenere il catetere vescicale in sede per più tempo o di riposizionarlo (7% dei casi negli ultimi 200 pazienti operati); 4. Parestesie agli arti superiori e inferiori che possono durare alcune settimane e che si risolvono sempre spontaneamente (2% dei casi negli ultimi 200 pazienti operati); 5. Complicanze cardiorespiratorie in genere che necessitano di terapie mediche specialistiche specifiche (meno del 2% dei casi negli ultimi 200 pazienti operati).

Nella nostra esperienza la percentuale delle complicanze che si osservano durante l’intervento chirurgico robotico e durante il ricovero ospedaliero è significativamente inferiore alle medesime complicanze osservate durante l’intervento eseguito con tecnica chirurgica tradizionale a cielo aperto.

Nel corso del primo mese postoperatorio può verificarsi una occlusione delle vene degli arti inferiori o della pelvi (trombosi venosa profonda) che è una complicanza nota di qualsiasi intervento chirurgico che si esegua nello scavo pelvico.

Questa complicanza tipicamente si manifesta con ingrossamento di uno degli arti inferiori il quale si mostra anche caldo e dolente. Possono associarsi febbre e dolore. Tale complicanza si è verificata in meno dello 0.05% dei casi operati presso il nostro centro e si è risolta con terapia medica anticoagulante.

Nel corso dei primi 3 mesi dopo l’intervento è possibile osservare un restringimento di origine cicatriziale o dell’anastomosi uretro-vescicale o del condotto uretrale. In questi casi è necessario eseguire un piccolo intervento endoscopico (senza incisioni cutanee) per dilatare il segmento ristretto. Nella nostra esperienza globale questo è accaduto in meno dello 0.5% dei casi) e anche questa percentuale è significativamente inferiore a quanto si osserva nella chirurgia a cielo aperto. È anche possibile il formarsi di ernie incisionali e di ernie inguinali (meno dell’1% dei casi) le quali possono richiedere una plastica chirurgica correttiva.

 

MARGINI CHIRURGICI

Nonostante la tecnica robotica sia associata a un ridotto rischio di margini positivi per neoplasia all’esame istologico quando comparata alla chirurgia a cielo aperto, in letteratura è riportato che il 15-30% dei pazienti trattati con chirurgia robotica presenta tumore che coinvolge i margini di resezione chirurgica. Nella casistica del San Raffaele, la percentuale di margini positivi è inferiore al 15% nei pazienti con tumore confinato all’interno della ghiandola prostatica. Nei casi più rari di tumore aggressivo che oltrepassa la capsula prostatica questa percentuale sale al 30%.

Il riscontro di un margine chirurgico positivo è quindi una evenienza da non escludersi anche in presenza di tumori con caratteristiche preoperatorie a buona prognosi e va considerata come un rischio intrinseco alla procedura di prostatectomia radicale stessa. Il tumore della prostata è infatti nella maggior parte dei casi localizzato alla periferia della ghiandola. Per tale motivo è possibile che nei pazienti con malattia tumorale molto estesa e aggressiva la linea di dissezione che il chirurgo segue per rimuovere la prostata presenti una (millimetrica) infiltrazione tumorale. Inoltre, le strutture anatomiche responsabili dell’erezione peniena e della continenza urinaria sono poste a stretto ridosso della superficie prostatica. Il tentativo di preservare tali strutture per non compromettere la potenza e continenza fa sì che in alcuni casi si crei un microscopico margine chirurgico positivo.

La rilevanza clinica e le implicazioni prognostiche di un margine positivo alla prostatectomia radicale sembrano essere limitate. Diversi studi hanno recentemente dimostrato come la presenza di un margine chirurgico positivo non aumenti il rischio di sviluppare recidiva clinica a distanza. Questo è vero in particolar modo quando la malattia presenta caratteristiche di estensione e aggressività limitata e viene fatta una chirurgia volta alla preservazione della potenza sessuale e della continenza urinaria. In questi casi i pazienti vengono seguiti senza fare nessun trattamento aggiuntivo poiché risultano guariti dalla sola chirurgia nella maggior parte dei casi. Al contrario, quando un margine chirurgico positivo si associa alla presenza di un tumore molto aggressivo ed esteso può essere indicata la somministrazione di terapie aggiuntive quali radioterapia e/o ormonoterapia immediatamente o al rialzo dei valori di PSA per ridurre il rischio di recidive a distanza.

  

RISULTATI ONCOLOGICI A DISTANZA

Sulla base dell’esame istologico definitivo e del primo PSA eseguito tre mesi dopo l’intervento il paziente viene tenuto sotto osservazione perché si ritiene sia guarito con l’intervento chirurgico oppure può essere suggerito un ciclo di radioterapia sulla loggia prostatica e i linfonodi. L’uso della radioterapia viene solitamente considerato nei pazienti con tumore prostatico esteso e molto aggressivo. Alcuni pazienti nei quali viene eseguita la radioterapia nel postoperatorio possono necessitare anche di un periodo di terapia farmacologica di deprivazione androgenica per aumentare l’efficacia delle radiazioni.

Nella maggior parte dei casi non è necessaria alcuna terapia immediatamente dopo l’intervento chirurgico e il follow-up si basa sulla valutazione dei valori di PSA, una molecola prodotta esclusivamente dalla ghiandola prostatica e facilmente misurabile con un esame del sangue. Dopo la prostatectomia radicale, il PSA raggiunge tipicamente valori inferiori a 0.01 ng/ml. Questo è indice della completa rimozione del tessuto di origine prostatica. Tuttavia, la presenza di una malattia aggressiva e non confinata alla prostata può determinare il rialzo dei valori di PSA nel corso del follow-up.

 

Il riscontro di due o più valori consecutivi di PSA ≥0.2 ng/ml viene definito come recidiva biochimica. Più dell’80% dei pazienti trattati presso il nostro centro è libero da recidiva biochimica dopo l’intervento. Tuttavia, questa percentuale varia significativamente a seconda delle caratteristiche della malattia: mentre il 90% dei soggetti con bassi valori di PSA alla diagnosi e una malattia poco aggressiva è libero da recidiva a 5 anni, questa percentuale scende al 65% quando vengono considerati pazienti con elevati valori di PSA alla diagnosi (>20 ng/ml), una malattia aggressiva (grado di Gleason 8-10) o localmente avanzata. Questi risultati sono sovrapponibili se non superiori a quanto osservato con la terapia chirurgica a cielo aperto e in linea con quanto riportato dalle più numerose casistiche internazionali.

L’identificazione dei pazienti con recidiva biochimica è fondamentale per la eventuale somministrazione di terapie di salvataggio quali la quali la radioterapia o terapie sistemiche volte a ridurre il rischio di recidiva a distanza. Queste terapie sono associate a eccellenti risultati a distanza. Ad esempio, la radioterapia è in grado di azzerare i valori di PSA in circa l’80% dei pazienti trattati precocemente dopo riscontro di recidiva biochimica.

 

RISULTATI FUNZIONALI A DISTANZA

 Una recente revisione della nostra casistica operatoria è stata presentata ai congressi annuali della European Association of Urology e della American Urological Association.

Se si considerano tutti i pazienti operati, indipendentemente dall’operatore, la ripresa completa della continenza urinaria senza necessità di utilizzare pannolini si è osservata a 3, 6 e 12 mesi dopo l’intervento in circa il 60%, 80% e 95% dei pazienti. Queste percentuali dipendono in modo significativo da tre fattori: 1. Chirurgo che esegue l’intervento; 2. Età del paziente e condizioni fisiche generali (in particolare presenza o meno di disturbi urinari prima dell’intervento e livello di sovrappeso corporeo); 3. Stadio di malattia prostatica.

La ripresa completa della erezione peniena nei pazienti con funzione sessuale perfetta prima dell’intervento si è osservata a 3, 6 e 12 mesi dopo l’intervento in circa il 30%, 50% e 70% dei pazienti. Queste percentuali dipendono in modo significativo da tre fattori: 1. Chirurgo che esegue l’intervento; 2. Età del paziente; 3. Eventuali fattori di rischio per disfunzione erettile presenti prima dell’intervento (ad es. pressione alta, obesità, diabete mellito, fumo di sigaretta).

Nella nostra esperienza la ripresa della continenza urinaria e della erezione peniena sono risultate significativamente migliori nei pazienti operati con tecnica robotica rispetto a coloro che sono stati operati con tecnica classica a cielo aperto.

CONSIGLI ALLA DIMISSIONE DOPO INTERVENTO DI PROSTATECTOMIA RADICALE ROBOTICA

Alimentazione

  • Può riprendere la Sua dieta abituale in modo graduale e progressivo;
  • Nel primo mese dopo l’intervento è importante bere almeno 1 litro e mezzo di acqua al giorno ed è accettabile un moderato consumo di alcolici;
  • Per riprendere la normale funzione intestinale è particolarmente importante variare la dieta arricchendola di frutta fresca tipo kiwi, frutta cotta e verdura (almeno due volte al giorno), al fine di evitare la stipsi. È molto utile bere 1 cucchiaio da cucina di olio extra vergine di oliva ai pasti principali.

 

Come obiettivo il paziente dovrebbe cercare di andare di corpo una volta al giorno, al fine di evitare feci particolarmente dure che potrebbero causare difficoltà alla defecazione con conseguenti eccessive spinte addominali – potenzialmente nocive dopo un intervento a carico della prostata. Se ciò non dovesse succedere, il paziente potrà provare ad assumere olio di vaselina oppure potrà utilizzare prodotti come Diecierbe (1 cp prima di coricarsi) o similari (raccomandiamo la lettura dei foglietti illustrativi di questi farmaci e di consultare sempre il Medico di Medicina Generale prima di utilizzare qualunque prodotto anche da banco).

È consigliabile non utilizzare clisteri o perette durante il primo mese successivo all’intervento chirurgico; infatti in questo periodo le pareti del retto sono molto sottili e pertanto potreste provocare dei danni.

Attività fisica

Dopo la dimissione dall’ospedale riprenda gradatamente e con buon senso la Sua attività fisica. Può passeggiare, salire e scendere dalle scale. La guida della macchina può generalmente essere ripresa 2 settimane dopo l’intervento.

Ricordi però di evitare sforzi eccessivi, come ad esempio sollevare oggetti pesanti o eseguire esercizi intensi (ginnastica, golf, tennis, corsa), nel corso delle prime 3 settimane che seguono l’intervento. È anche importante evitare l’uso della bicicletta o del motorino/motocicletta durante il medesimo periodo di tempo.

 Infatti questo è il tempo necessario perché si sviluppi un adeguato tessuto cicatriziale nelle zone interessate dall’atto chirurgico. Se intraprenderà attività fisiche faticose prima del dovuto, potrebbe ledere la delicata struttura che congiunge la vescica all’uretra; questo potrebbe comportare problemi a lungo termine legati alla continenza o addirittura causare un’ernia in sede di ferita.

Per le prime 4 settimane cerchi di non rimanere seduto su una sedia rigida con lo schienale diritto per più di un’ora. Noi preferiremmo che utilizzasse sedie comode con lo schienale più inclinato (per esempio sedie reclinabili, divani oppure poltrone con il poggiapiedi).

Questo comportamento è utile per 2 motivi:

  1. permette di sollevare le gambe, favorendo così il ritorno venoso al cuore (diminuendo il rischio di trombosi profonde, vedi sotto);
  2. permette di evitare di appoggiare tutto il peso su zone del perineo interessate dall’intervento (tra i testicoli e il retto).

Dopo 4 settimane dall’intervento, può riprendere tutte le attività  svolte prima dell’operazione.

 

Problemi Generali

Dolore addominale. Il dolore addominale è frequente ma di lieve intensità e presente soprattutto il giorno successivo all’intervento. È generalmente dovuto all’aria nell’intestino e/o alla ripresa della peristalsi (movimento) intestinale: passa velocemente con il ripristino della normale attività intestinale e perciò in questa fase gli analgesici sono inutili, se non controproducenti. Non si preoccupi, perché il tutto si risolverà spontaneamente. Cerchi però di evitare quelle attività che ne favoriscano l’insorgenza.

In rari casi, tipicamente nelle prime 24-48 ore dopo la rimozione del catetere vescicale, si può sviluppare un dolore addominale acuto localizzato in particolare al basso ventre e che tipicamente esordisce al termine della minzione. Spesso questo dolore cosi forte ed improvviso dipende da una incompleta tenuta dell’anastomosi uretro-vescicale con conseguente fuoriuscita di urina che irrita l’intestino e produce il dolore.

Ci avvisi sempre in questi casi: il dolore tipicamente passa riposizionando il catetere vescicale.

La ferita. I punti delle piccole ferite cutanee sono riassorbibili e non devono in genere essere rimossi poiché si sciolgono da soli. Può fare una doccia a partire dalla rimozione del catetere vescicale (il bagno nella vasca è permesso dopo circa 10 giorni dall’intervento).

Una minima parte dei pazienti può sviluppare una infezione di ferita. Questa si manifesta con la fuoriuscita dalla ferita di materiale limpido (siero) oppure di sangue frammisto a pus. Non si preoccupi. Può farsi seguire dal Suo Medico Curante oppure venire nei nostri ambulatori. Ci avvisi sempre per un problema di questo tipo.

Trombosi venosa profonda. Durante le prime 4-6 settimane dall’intervento, è possibile che si manifesti in circa l’1% dei casi la trombosi venosa profonda a carico di un arto inferiore. La comparsa di trombosi venosa profonda può produrre dolore al polpaccio, gonfiore della caviglia o della gamba ed essere associata a un arto arrossato e più caldo del controlaterale.

Talvolta può comparire febbre. Sebbene molto raramente, questi trombi possono distaccarsi e raggiungere il polmone causando una patologia molto grave che si chiama embolia polmonare. Questa si manifesta con dolore toracico (specialmente dopo un respiro profondo), mancanza di fiato, improvvisa comparsa di debolezza e senso di svenimento.

È importante riconoscere subito questi segnali e recarsi accompagnato immediatamente in Pronto Soccorso.

Ci avvisi sempre per un problema di questo tipo.

Infezioni delle vie urinarie. Possono capitare quando si è tenuto un catetere vescicale per alcuni giorni. Si possono manifestare in svariati modi (bruciore dopo la minzione, urine torbide e maleodoranti, febbre, brivido, etc…). Se dovesse capitarLe consigliamo di eseguire un esame completo delle urine e una urinocoltura con antibiogramma e chiedere al Suo Medico Curante una eventuale terapia antibiotica appropriata. Ci avvisi sempre per un problema di questo tipo.

Sedimento nelle urine. Questo può manifestarsi a causa della fuoriuscita di vecchi coaguli che erano presenti in vescica. Le urine generalmente rimangono rosse o rosate per almeno 15-20 giorni dopo la rimozione del catetere. Una abbondante idratazione (bevendo almeno 1.5-2 litri di acqua al giorno) potrà aiutare a rendere le urine chiare. Se dovesse incontrare difficoltà nella fuoriuscita del getto urinario ci avvisi subito.

Gonfiore. Lo scroto e il pene si gonfiano frequentemente poiché a questo livello si può raccogliere della linfa. Se questo dovesse accadere, sollevi lo scroto stesso verso l’addome, ponendo al di sotto, tra le gambe, un asciugamano arrotolato (come Le è stato mostrato in reparto). Generalmente il gonfiore ai genitali dura un mese e scompare spontaneamente.

Una borsa del ghiaccio può talvolta alleviare il fastidio derivante da questo gonfiore. Alcuni integratori (Ad esempio: Linfadren 1 cp al giorno e Linfonorm 2 cp al giorno, entrambi per 3 mesi) possono accelerare la risoluzione del problema. Se si gonfiano i piedi, gambe o cosce può essere presente una stasi linfatica (linfedema) o un blocco della circolazione venosa (trombosi venosa profonda, vedi sopra). Ci avvisi sempre per un problema di questo tipo.

Ematomi Cutanei. In alcuni casi si osservano ematomi cutanei, soprattutto ai fianchi ed ai genitali, dovuti alle procedure chirurgiche, o nelle sedi di iniezione sottocutanea dell’anticoagulante. Scompaiono da soli in circa 1 mese.

Rimozione del catetere vescicale. Il catetere viene generalmente rimosso da 5 a 10 giorni dopo l’intervento chirurgico. In rari casi può essere necessario mantenere il catetere in sede più a lungo. Come detto poc’anzi è importante che il paziente venga dimesso dall’Ospedale prima possibile, quindi molto spesso la dimissione avviene essendo il catetere vescicale ancora in sede. In questi casi è importante mantenere il catetere sempre aperto, collegato con il sacchetto di raccolta delle urine che è stato utilizzato in reparto.

Può utilizzare il sacchetto di raccolta che si aggancia al polpaccio oppure alla coscia quando desidera fare una passeggiata. Ponga attenzione a non strattonare il catetere. Se questo dovesse succedere è probabile che le urine si arrossino o che esca sangue di fianco al catetere stesso. In questo caso deve avere l’accortezza di bere molto e la situazione tornerà normale.

Il catetere vescicale è mantenuto in sede da un palloncino gonfiato in vescica. Molto raramente (1 caso su 200 pazienti) il catetere può dislocarsi accidentalmente a causa della rottura del palloncino. In questo caso è importante che si presenti presso il nostro Pronto Soccorso poichè può essere necessario che un urologo riposizioni un nuovo catetere vescicale.

Ripresa della continenza urinaria Esperienza Personale

La ripresa della continenza urinaria dopo la rimozione del catetere vescicale avviene gradualmente e in modo progressivo. Nella mia esperienza personale, almeno il 50% dei pazienti presenta una continenza urinaria completa già 24 ore dopo la rimozione del catetere vescicale. Nel corso dei primi 3 mesi dopo l’intervento la quasi totalità dei pazienti riacquisisce una continenza urinaria completa ed è veramente raro osservare un paziente che necessiti ancora di un pannolino protettivo.

Il ritorno della continenza urinaria avviene tipicamente in 3 fasi:

Prima fase: sarete asciutti durante la notte, quando in posizione sdraiata sul  letto.

Seconda fase: sarete asciutti durante le ore diurne. Tipicamente la continenza urinaria si normalizza più velocemente al mattino e poco dopo al pomeriggio e sera.

Terza fase: sarete asciutti anche durante lo svolgimento di qualsiasi attività fisica, nell’arco delle 24 ore.

Poiché tutti i pazienti sono differenti tra loro non è possibile prevedere con esattezza quando in ogni singolo caso sarà possibile raggiungere la continenza urinaria totale.

 

Raccomando sempre a tutti i pazienti di essere visti prima dell’intervento e seguiti dopo l’intervento c/o studio DUAM dalla nostra fisioterapista Dr.ssa Donatella Giraudo, la quale, in una singola seduta di un’ora, insegna gli esercizi muscolari che favoriscono la ripresa della continenza urinaria.

 

Prima dell’intervento la visita don la Dr.ssa Giraudo deve essere eseguita appena possibile. Dopo l’intervento la visita con la Dr.ssa Giraudo deve essere eseguita circa 15 giorni dopo la rimozione del catetere vescicale.

 

Esistono inoltre farmaci che possono facilitare la ripresa della continenza: alcuni agiscono sulla contrattilità vescicale (ad esempio: Detrusitol, Ditropan, Toviaz e Vesiker) e altri sullo sfintere urinario (ad esempio: Yentreve o Cymbalta). Fino a quando non avrete raggiunto una continenza urinaria completa, vi consigliamo di indossare un pannolone e di non bere né troppi caffè né alcolici.

Come detto poc’anzi, uno studio eseguito presso il nostro Dipartimento ha dimostrato come la riabilitazione dei muscoli del pavimento pelvico-perineale possa aiutare la ripresa della continenza. Ogni caso che riteniamo ne possa beneficiare viene sottoposto a questa riabilitazione. Nella mia esperienza a oggi meno dello 0.3% dei pazienti trattati con prostatectomia radicale robotica ha lamentato una incontinenza urinaria da considerarsi definitiva per i quali è indicato il posizionamento di sling uretrale artificiale per risolvere il problema.

RIPRESA DELLA CONTINENZA URINARIA

Dr.ssa Donatella Giraudo

Fisioterapista

giraudo.donatella@hsr.it

 

L’asportazione di tutta la ghiandola prostatica è seguita dalla successiva ricostruzione del tratto urinario mediante anastomosi tra vescica e segmento uretrale residuo: questo garantisce ovviamente l’integrità del canale che convoglia l’urina all’esterno, ma non consente un adeguato compenso alla perdita del meccanismo di chiusura garantito dallo sfintere che viene in gran parte forzatamente coinvolto nella rimozione chirurgica dando luogo in alcuni casi alle perdite in controllare di urina.

Le strutture anatomiche che solitamente non vengono coinvolte – a meno di essere stati sottoposti a radioterapia – sono i muscoli del perineo (che spesso viene denominato “pavimento pelvico” proprio perché chiude in basso la cavità addominale) e che é la zona muscolare, a forma di losanga che viene appoggiata sulla sella quando si va in bicicletta e che fa da sostegno alla vescica e all’ultima porzione dell’uretra.

Quindi, dopo l’intervento, la continenza è determinata soltanto dalla funzione dello sfintere esterno con il supporto dei muscoli del piano perineale.

Il trattamento riabilitativo ha come obiettivo il potenziamento di questi muscoli il miglioramento della loro forza e della  loro “tenuta” costante nel corso di tutta la giornata, in rapporto alla respirazione ed agli aumenti della pressione intraddominale, cosa che si verifica in caso di colpo di tosse, dell’alzarsi da una sedia, del sollevare un peso.

 

Vi sono evidenze scientifiche che suggeriscono come questi esercizi possano contribuire alla prevenzione ed al trattamento delle eventuali problematiche urinarie e sessuali con l’obiettivo di una positiva ripercussione sulla qualità di vita.

 

È stato dimostrato che, nel favorire un recupero più rapido e graduale di eventuali disfunzioni post-chirurgiche possono venire in soccorso le sedute fisioterapiche pre-operatorie, queste sedute, iniziate almeno una ventina di giorni prima dell’intervento rispondono a due obiettivi principali: innanzitutto servono ad insegnare gli esercizi che saranno poi effettuati in fase di riabilitazione vera e propria, sfruttando il fatto che la persona non ancora sottoposta da intervento può più facilmente capire ed eseguire gli esercizi rispetto ai giorni successivi all’intervento; in secondo luogo perché sono molto utili a prendere coscienza della muscolatura perineale che dovrà essere allenata (e di cui spesso non si ha coscienza).

 

La riabilitazione post operatoria si articola poi, in funzione delle problematiche presenti, nell’utilizzo di diverse tecniche:

  • l’educazione minzionale, unitamente alla condivisione di suggerimenti relativi allo stile di vita e sulla modalità e quantità di assunzione delle bevande: questi suggerimenti vengono personalizzati sulla base della compilazione di un diario minzionale, compilato dalla persona stessa per almeno due giorni consecutivi, dove devono essere minuziosamente segnati i liquidi ingeriti, le minzioni eseguite e le eventuali fughe
  • la chinesiterapia per il rinforzo della muscolatura perineale, integra, concentrandosi in particolare sulla muscolatura anteriore (quella che circonda l’uretra, non la muscolatura dell’ano, posteriore e sostanzialmente inutile ai fini del bloccare il flusso di urina); in funzione del recupero ottenuto gli esercizi possono diventare sempre più impegnativi, sino ad essere eseguiti con la tecnica del Biofeedback telemetrico (con sonda manometrica anale) durante l’esecuzione di attività fisica più impegnative (salti e corsa sul posto)
  • in particolari situazioni si ricorre alla stimolazione elettrica funzionale, che ha come obiettivo non solo il rinforzo della muscolatura, ma la presa di coscienza del piano perineale e la possibile azione di inibizione sulla contrazione e lo svuotamento della vescica. Oltre alla tecnica usuale che prevede l’utilizzo di sonde anali con elettrodi ad anello, viene utilizzata preferenzialmente la più recente tecnica SANS, che prevede la stimolazione del nervo tibiale posteriore all’arto inferiore in caso di incontinenza da urgenza

 

Il trattamento riabilitativo, affianca quindi il trattamento medico farmacologico nell’affrontare le problematiche post-intervento e rappresenta una modalità efficace nel migliorare la qualità di vita nei primi mesi dopo l’intervento ed accelerare la ripresa della funzionalità vescicale.

 

La riabilitazione è una tecnica indolore e può rappresentare una valida associazione alle terapie farmacologiche e chirurgiche. É molto importante rivolgersi a personale Fisioterapico qualificato che, unitamente al Medico Specialista, sia in grado di valutare il livello di disfunzione e l’efficacia del percorso riabilitativo proponendo un training riabilitativo su misura del paziente, e che terrà conto della sua forza muscolare della sue caratteristiche fisiche e del suo stile di vita. Spesso è sufficiente un solo incontro nel quale il paziente apprende il “proprio” progetto riabilitativo da eseguirsi poi a domicilio secondo i tempi e le modalità suggerite dallo specialista.

 

Modalità di erogazione del servizio

L’attività ambulatoriale di riabilitazione del pavimento pelvico è erogata in regime di solvenza dalla Dottoressa in Fisioterapia Donatella Giraudo presso la struttura del San Raffaele Ville Turro, Palazzina A, Ambulatorio 5, Piano Rialzato o presso lo Studio Discipline Urologiche Andrologiche Milanesi (DUAM), Via Fontana, 2, Milano.

 

Prenotazioni e informazioni

Dr.ssa Donatella Giraudo

Studio Discipline Urologiche Andrologiche Milanesi (DUAM)

Via Fontana, 2, Milano

Tel: 02-76316689

mail: prenotazioni@duam.it

 

Ripresa della funzione sessuale Esperienza Personale

 

Il requisito fondamentale per il ritorno di erezioni spontanee è la conservazione, durante l’intervento, dei nervi deputati al meccanismo della erezione.

Come Le è stato spiegato prima dell’intervento, il ritorno della funzione sessuale dipende molto dall’età, dalla potenza sessuale pre-operatoria e dall’estensione del tumore che è il parametro chiave nel determinare la tecnica chirurgica. Proprio per questo motivo non abbia paura di sperimentare l’attività sessuale non appena si senta in forma.

Si deve tenere conto che dopo l’intervento riprenderanno per prime le erezioni erotiche, cioè quelle stimolate da un adeguato eccitamento sessuale!

Non si aspetti di vedere le erezioni “psicogene” o “notturne” che ogni uomo è abituato normalmente a vedere: queste possono necessitare anche 2 anni per ricomparire.

È quindi importante che il paziente si “eserciti” con la sua attività sessuale che deve essere considerata come una vera e propria ginnastica riabilitativa. Il primo segno favorevole durante l’attività sessuale è vedere un allungamento ed ingrossamento del pene nel momento del massimo eccitamento, anche in assenza di rigidità. Nei primi mesi dopo l’intervento il sesso è tipicamente non penetrativo ma tutti i pazienti riescono comunque ad arrivare all’orgasmo. Si ricorda che la rimozione della prostata comporta la scomparsa della eiaculazione e che quindi dopo l’intervento chirurgico il paziente diventa sterile. Se il paziente è interessato ad avere figli dopo l’intervento chirurgico è importante che venga eseguita la crioconservazione del seme prima dell’ingresso in ospedale, così da potere procedere in seguito ad eventuale fecondazione assistita.

 

Alcuni consigli pratici per riprendere in fretta e bene la Sua attività sessuale:

 

  1. La lubrificazione del pene e della vagina prima del rapporto con qualsiasi gel od olio a base di vaselina aiuta molto (tipo olio Johnson and Johnson)
  2. La posizione in ginocchio o eretta durante il rapporto migliora le erezioni
  3. Una volta ottenuta la erezione può mettere alla base del pene un normale elastico che facilita l’intrappolamento del sangue all’interno del pene.
  4. Non aspetti “la perfetta erezione” prima di avere un rapporto sessuale. Provi ad avere un rapporto anche se la erezione è parziale. La attività sessuale facilita la ripresa delle proprie capacità!
  5. È importante prendere atto che inizialmente il sesso non è di tipo penetrativo poiché la rigidità peniena necessaria ritorna in qualche mese. Nel primo periodo dopo l’intervento il sesso è quindi masturbatorio, ma ugualmente piacevole! È importante praticare la masturbazione di frequente (almeno 3 volte alla settimana) perchè questa rappresenta la forma più efficace di ginnastica riabilitativa del pene.
  6. Sappia che sarà in grado di avere un orgasmo anche senza una erezione. Si ricordi, però, che all’orgasmo non seguirà l’emissione di liquido seminale, in quanto durante l’intervento sono state rimosse le vescicole seminali e la prostata. Si è quindi creata una condizione di sterilità permanente.
  7. È sempre utile vuotare completamente la vescica prima di ogni atto sessuale per evitare il fenomeno della incontinenza urinaria al momento dell’orgasmo.

 

Nella mia esperienza personale, ogni paziente interessato a riacquistare erezioni normali è bene che stimoli il pene farmacologicamente, sia utilizzando compresse di farmaci che migliorano la circolazione del sangue all’interno del pene sia utilizzando piccole micro-iniezioni che favoriscono l’afflusso di sangue al pene.

 

Il programma di ripresa delle erezioni prevede che tutti i pazienti imparino a utilizzare microiniezioni intracavernose di una miscela vasoattiva che è stata sviluppata al San Raffaele. Il nostro specialista di questa tecnica, il Dr. Luigi Barbieri, in due incontri c/o studio DUAM istruisce i pazienti sulla metodica di autoiniezione, che è totalmente indolore. Queste microiniezioni vengono fatte 1-2 volte a settimana, indipendentemente dalla attività sessuale, a scopo riabilitativo.

 

Inoltre riteniamo che sia molto utile prendere prima del rapporto sessuale e comunque mai insieme alle iniezioni una compressa intera di Cialis 20 mg (da 2 a 4 ore prima del rapporto) oppure Levitra 20 mg (1 ora prima del rapporto a stomaco vuoto), oppure Spedra 200 mg (1 ora prima del rapporto a stomaco vuoto), oppure Viagra 100 mg (1 ora prima del rapporto a stomaco vuoto). Il Viagra viene venduto in farmacia anche come generico (ad esempio Sildenafil DOC 100 mg). Questi farmaci si trovano in qualsiasi farmacia ed è necessaria una specifica ricetta medica che può essere fatta anche dal Vostro medico di famiglia!

Tenete conto che i pazienti in terapia con NITRATI (medicinali utili in alcuni casi di angina – cardiopatia ischemica) NON possono prendere i farmaci sopra elencati.

 

Per quanto riguarda i controlli futuri, Le raccomandiamo di seguire attentamente tutto quanto è stato scritto nella lettera di dimissione che Le sarà consegnata.

 

È per me un grande piacere averLa in cura. Spero che Lei possa sempre considerare tutto il nostro staff medico sia come medici che come amici.

 

Rimanendo a Sua completa disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento, colgo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti.

 

Prof. Francesco Montorsi

Primario U.O. Urologia

IRCCS Ospedale San Raffaele

Professore Ordinario di Urologia

Direttore Scuola di Specializzazione di Urologia

Università Vita Salute San Raffaele

 

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